Una volta tanto, invertiamo i ruoli. De IL SARTO DI PANAMA sarei curioso di sapere cosa ne pensano i miei quattro lettori. Perché la maggioranza dei colleghi sembra apprezzare; mentre il sottoscritto proprio non ci si ritrova.
Certo, questo film tratto (e sceneggiato) da John Le Carré (a sua volta ispirato dal mitico IL NOSTRO AGENTE ALL'AVANA di Graham Greene) è una parodia dei film di spionaggio. Ovvio, si tratta di un anti-007: con Pierce Brosnan che rifà uno dei suoi James Bond, ma versione perversa. Ma il guaio di quella che avrebbe potuto essere una brillante dissertazione sulla mitomania (il personaggio-chiave è quella di un sarto ben introdotto alla corte dei potenti che serve da contatto all'agente segreto: ma che per cavarsi d'impaccio s'inventa tutto) è di essere costantemente sopra le righe. Primo fra tutti, il pachidermico, a tratti insopportabile Brosnan; penoso maniaco sessuale più che cinico e ridicolo profittatore.
Altrettanto certo: la classe di Geoffrey Rush (originale nel ruolo del sarto, malgrado il doppiaggio che penalizza lui, e forse tutto il film, privandolo delle squisite mezze-tinte della parlata inglese) riscatta l'incertezza dei toni tragicomici. L'eleganza della regia e dell'ambientazione di un maestro come John Boorman salvano IL SARTO DI PANAMA dalla volgarità. Ma il messaggio di un film che non voleva che essere soltanto (ed eventualmente) comico (diffidate da tutte le apparenze: anche di quelle della convenzione romanzata) si perde, se non nella generosità, nella mancanza di sottigliezza di un maestro che si era sempre distinto proprio in quel senso.